IL CSI – La nostra storia
Il Centro Sportivo Italiano é un’associazione senza scopo di lucro, fondata sul volontariato, che promuove lo sport come momento di educazione, di crescita, di impegno e di aggregazione sociale, ispirandosi alla visione cristiana dell’uomo e della storia nel servizio alle persone e al territorio.
In qualità di associazione polisportiva attiva più antica d’Italia, il Csi risponde ad una domanda di sport non solo numerica ma qualificata sul piano culturale, umano e sociale.
Da sempre i giovani costituiscono il suo principale punto di riferimento, anche se le attività sportive promosse sono rivolte ad ogni fascia di età.
Educare attraverso lo sport è la missione del Centro Sportivo Italiano. Questo è ormai consolidato nella prassi e nella coscienza dell’associazione a tutti i livelli.
Lo sport inteso dal Csi può anche essere uno strumento di prevenzione verso alcune particolari patologie sociali quali la solitudine, le paure, i timori, i dubbi, le devianze dei più giovani. Un’attività sportiva organizzata, continuativa, seria, promossa da educatori, allenatori, arbitri, dirigenti consapevoli del proprio “mandato” educativo, infatti, aiuta i giovani ad andare oltre, ad abbandonare gli egoismi e ad affrontare la strada della condivisione, della sperimentazione del limite, della conoscenza di sé.
Proprio per questo, il CSI prevede un’articolazione della proposta sportiva nel rispetto delle età e dei bisogni di ciascun atleta, permettendogli in tal modo di scoprire il meglio di sé, di imparare a conoscere il proprio corpo, a valorizzarlo, a stimarlo.
Nel 2014 ricorre il settantesimo anniversario dalla fondazione, che risale al 1944, su iniziativa della Gioventù Italiana di Azione Cattolica.
Idealmente si voleva proseguire l’esperienza della FASCI (Federazione delle Associazioni Sportive Cattoliche Italiane), creata nel 1906 dall’Azione Cattolica Italiana e sciolta nel 1927 dal regime fascista.
Oltre un secolo di storia, durante il quale la pratica sportiva si è trasformata da fenomeno di èlite a fenomeno di massa.
In tutti questi anni un impegno costante, una ragione di fondo semplice quanto delicatamente gravosa: sostenere uno sport che vada incontro all’uomo.
La fondazione del Centro Sportivo Italiano
Il 5 gennaio 1944, la Direzione generale dell’Azione Cattolica approvava l’iniziativa del prof. Luigi Gedda, di intraprendere la costituzione di un organismo specializzato per lo sport, con la denominazione di “Centro Sportivo Italiano”.
Pur dichiarandosi quale prosecuzione ideale della FASCI, la stessa nuova denominazione, nei confronti della precedente, voleva indicare una precisa apertura apostolica verso tutta la gioventù italiana e non più limitarsi alle sole associazioni sportive cattoliche.
Nella primavera una apposita commissione, installata dalla Presidenza centrale dell’Azione Cattolica, redige una bozza di statuto e di regolamento organico. Nell’autunno del 1944 viene approvato il primo Statuto del CSI, che pone a fondamento dell’azione associativa il fine di “sviluppare le attività sportive ed agonistiche guardando ad esse con spirito cristiano, e cioè come ad un valido mezzo di salvaguardia morale e di perfezionamento psicofisico dell’individuo”: questo sport dalla forte valenza educativa va esteso al “maggior numero possibile di individui”. È il principio cardine dell’Associazione: il CSI è promosso da cristiani, ma è aperto a tutti e collabora con quanti si impegnano per uno sport a servizio dell’uomo.
La nuova associazione, che muove i primi passi in un’Italia ancora divisa in due, afferma nella nascente Italia democratica il diritto dei cittadini ad associarsi liberamente per praticare un’attività sportiva. In un Paese interamente da ricostruire, dove anche gli impianti sportivi mostrano i segni della guerra appena terminata, lo sport del CSI si forma inizialmente all’ombra dei campanili: le sue Società sportive si coagulano attorno agli Uffici Sportivi Diocesani e sono espressione, per la maggior parte, di Parrocchie e Istituti religiosi.
Pio XII il “Papa degli sportivi”
Se Gedda è lo stratega della organizzazione cattolica dello sport, è tuttavia Pio XII che ne definisce gli obiettivi ideali, i princìpi educativi, le finalità morali. È stato scritto che Pio XII “ultimo papa d’una chiesa ierocratica in una visione simbolica post conciliare, è invece tra i primi, forse il primo, pienamente inserito in una società di massa” e che “ebbe il senso vivissimo dei mezzi di comunicazione di massa, cogliendone il potere reale e dedicando ad essi grande cura”. Anzi si può affermare che Pio XII fece degli strumenti di comunicazione di massa uno dei mezzi privilegiati per l’instaurazione di quella societas christiana che costituì uno dei tratti più significativi del suo pontificato.
E certamente lo sport rientrava fra gli strumenti di comunicazione di massa. Non a caso, nei suoi vari discorsi il riferimento allo sport è frequente e sicuramente per assiduità non ha precedenti coi suoi predecessori. A ulteriore conferma dell’interesse di Pio XII in materia di sport resta anche tutta una serie di significativi episodi che inauguravano uno stile del tutto nuovo. Nel 1946 riceveva, ad esempio, ed era la prima volta nella sua trentennale storia, la carovana del Giro d’Italia, secondo una consuetudine che si sarebbe negli anni ripetuta.
Un episodio significativo dell’attenzione pacelliana allo sport si ha nella pubblica menzione che Pio XII fece di Gino Bartali in un discorso ufficiale. Il 7 settembre 1947, dinanzi agli Uomini di Azione Cattolica in piazza San Pietro, così si esprimeva “Il tempo della riflessione e dei progetti è passata. È l’ora dell’azione. La dura gara di cui parla San Paolo è in corso. Siate pronti. È l’ora dello sforzo intenso. Anche pochi istanti possono decidere la vittoria. Guardate il vostro Gino Bartali, membro dell’Azione Cattolica: egli ha più volte guadagnato l’ambita maglia. Correte anche voi in questo campionato ideale, in modo da conquistare una ben più nobile palma”.
Ad ognuno il suo sport
Già nell’immediato dopoguerra il CSI si fa promotore di innovative proposte di attività sportiva, modellate per le diverse fasce di popolazione. Nei mesi di maggio e giugno 1945 il CSI organizza, con la collaborazione tecnica delle Federazioni sportive nazionali e del CONI, i Campionati Studenti Medi. Hanno fatto seguito, nei mesi estivi, i Campionati Sportivi del Lavoratore, ideati e lanciati dal CSI al quale si sono poi uniti il CONI, l’ENAL e la CGIL.
Nel 1945, in collaborazione con la GIAC, nascono anche i Campionati Studenteschi, che promuovono la pratica sportiva nelle scuole di tutta Italia, mentre nei primi mesi del 1949 debuttano i Campanili Alpini (in collaborazione con la FISI e il settimanale per ragazzi della GIAC “Il Vittorioso”) e, successivamente, i Campanili Marini, che mirano a diffondere, rispettivamente gli sport invernali e natatori, in ogni Comune tra gli italiani delle diverse età.
Contemporaneamente si organizzano su tutto il territorio nazionale anche attività di tipo tradizionale, in accordo e collaborazione con le Federazioni Sportive Nazionali.
Negli anni successivi si replica con intensità crescente. Si gioca e si gareggia dappertutto sotto i colori blu-arancio del CSI: non solo nei cortili delle Parrocchie, ma anche negli stadi, nelle piazze, sulle strade. Nascono il Trofeo della Montagna (1946), organizzato, in collaborazione con gli Alpini, per i “militari, valligiani e cittadini”; Ju Sport, per i ragazzi dai 10 ai 14 anni; Sport Vitt e le Olimpiadi Vitt, per i giovani dai 16 ai 20 anni.
Seguirà anche Arcobaleno sport: una serie di attività adatte ai ragazzi, che si articolano in otto trofei dai colori dell’arcobaleno e comprendono pallacanestro, nuoto, atletica leggera, pallavolo, calcio, rugby educativo, pattinaggio, tennistavolo.
La ricorrenza del primo decennio del Centro Sportivo Italiano
Nell’ottobre 1955 il CSI festeggia a Roma i primi dieci anni di vita. L’idea di un raduno romano del CSI era nata come grato e doveroso omaggio a Pio XII, “Il Papa degli sportivi”, nel suo ottantesimo compleanno e nel quindicesimo di pontificato. La ricorrenza del decennale di fondazione fu vista anche come l’occasione propizia per ribadire al Paese intero la propria vocazione. A quell’appuntamento il CSI si presentava forte di un’organizzazione diffusa ormai in tutta la penisola: 17 Comitati regionali, 92 Comitati provinciali, 60 Comitati zonali, 3.000 Società sportive, circa 80.000 tesserati.
La gente del CSI, alla quale si aggiunsero le atlete della FARI e atleti di molte Federazioni nazionali, cominciò ad affluire a Roma il 6 e 7 ottobre. Arrivarono con treni, pullman, moto e perfino in bicicletta, vestiti con le tute e le divise sociali, giovani e meno giovani, portando bandiere, striscioni e gli strumenti del loro sport. Alcuni di loro diedero vita a tre grandi manifestazioni sportive: i “Campionati nazionali di atletica leggera”, il “Criterium giovanile ciclomotoristico delle Nazioni”, il “Gran Premio del Decennio” di ciclismo. La mattina del 9 ottobre questa enorme massa di gente, alla quale si erano aggiunte le atlete della FARI e gli atleti di molte Federazioni sportive nazionali con i loro dirigenti (circa 50.000 persone), sfilò per le vie di Roma fino a Piazza San Pietro, dove li attendeva un’udienza concessa da Papa Pio XII. In quella folla di atleti erano rappresentati tutti gli sport del CSI e tutte le regioni.
Il “Decennio” non fu solo bandiere, musiche e cortei. A dargli un senso profondo fu il discorso pronunciato in quella occasione da Pio XII. Nel 1945, quando il CSI era rinato dalle ceneri della FASCI, era stato proprio Pio XII ad indicare la strada che la nuova associazione avrebbe dovuto percorrere nello sport. Ora, a distanza di dieci anni, ci si raccoglieva attorno al Papa con l’orgoglio di chi era riuscito ad andare oltre ogni previsione. Pio XII lodò il CSI per la strada già percorsa e diede preziose indicazioni per il futuro.
Ma il Pontefice esortava a fare ancora di più: perché lo sport è fonte di beni fisici ed etici, va proposto a tutti i giovani, anche ai più disagiati. Ai giovani dell’immediato dopoguerra lo sport veniva proposto come un’alternativa esistenziale, cioè un ideale di vita coraggioso, ottimista, superiore ai meri interessi e preoccupazioni materiali: una proposta di rinnovamento totale di tutta la persona, anima e corpo, attraverso un’attività sportiva sanamente intesa. In questa prospettiva anche la funzione di una “associazione di categoria” come il CSI era tracciata di conseguenza; attraverso essa la Chiesa “compie ed integra ciò che manca ad un’idea, ad un’attività, ad un’opera, che per eccessi o per difetti o per assenza di fondamenti ideali non siano pari, se non addirittura contrari, alla dignità cristiana” (Pio XII). Ecco pertanto il programma del CSI alla fine del suo primo decennio di vita, tracciato con quella famosa espressione: “Lievito di cristianesimo voi dunque sarete negli stadi, sulle strade, sui monti, al mare, ovunque si innalza con onore il vostro vessillo” (Pio XII).
Si incomincia già ad intravedere il “modo d’essere” del CSI e c’è già un netto progresso rispetto al periodo della FASCI. Compito dell’istituzione sportiva cattolica non è soltanto quello di agire, perseverare e conservare, ma anche quello di animare cristianamente, dal di dentro, i valori temporali, soprattutto con la forza dell’esempio.
L’avvenimento fu troppo grande perché si potesse ignorarlo. I cinegiornali ne diffusero il resoconto in tutte le sale cinematografiche. La stampa impegnò alcune grandi firme nel commento. Le critiche di parte non mancarono e talvolta toccarono punte di involontaria comicità. L’Unità polemizzò sui presunti costi del raduno, Il Paese trovò ingiusto che si fossero sventolate le bandiere tricolori facendo “fremere nella tomba le ossa di Mazzini e Garibaldi”, Il Lavoro parlò di messa in scena grandiosa che nascondeva la pochezza dello sport del CSI, Il Borghese fece finta di stupirsi perché non era stata inviata “alla cittadinanza romana nessuna cartolina precetto per assistere alla sfilata”.
Il Centro Sportivo Italiano e lo sport nella scuola
Quando, il 10 febbraio 1945, Stadium riprese le pubblicazioni dopo diciotto anni di silenzio imposti dal fascismo e dalla guerra, sulla prima pagina della rinnovata pubblicazione i due articoli di apertura erano dedicati al problema dello sport scolastico, che evidentemente l’Associazione riteneva fondante per la rinascita della vita sportiva nel Paese.
Il CSI, sin dalla sua costituzione, aveva assunto una propria fisionomia, si era irradiato in ogni dove, era penetrato nei collegi, nelle scuole, nelle parrocchie, in molte aziende. Ma particolarmente nelle scuole “naturale fucina dello sport, perché in nessun altro aggregato sociale vive tanto affiatamento, tanta comprensione, tanto intuito, tanta emulazione, tanto spirito di corpo, essenziali requisiti sportivi. E ciò dall’asilo alla Università”. Lo sport nella scuola era una questione antica, radicata. Nell’Italia della prima metà del XX secolo l’idea di rendere lo sport una pratica diffusa in tutta la società si era pian piano affermata. Lo sport, però, era rimasto sostanzialmente estraneo alla scuola, nella quale ci si limitava ad una generica attività di educazione fisica.
Le cose non erano mutate durante il periodo fascista. Il regime aveva usato larghezza di mezzi per diffondere lo sport, sia pure con intenti paramilitari e propagandistici, eppure non aveva saputo superare l’equazione scuola=ginnastica.
Quando, terminata la guerra, fu necessario pensare anche al riassetto dello sport italiano, la questione dello sport scolastico tornò a galla.
Il CSI aveva una visione globale del problema. La scuola, diceva, non può essere un tempio o una tana. I giovani alunni devono poter fare attività sportiva all’aria aperta, sui campi di gioco e nei cortili. L’educazione fisica concepita come ginnastica non può bastare, oltretutto è ripetitiva e noiosa; meglio allora che lo sport entri nella scuola o, piuttosto, che la scuola esca nello sport.
Nella primavera del 1945 il CSI organizzò nell’Italia centro-meridionale (il Nord doveva ancora essere liberato) i Campionati per studenti medi, denominati “Trofeo CONI”. L’Associazione mise a disposizione le sue strutture tecniche ed organizzative che resero possibile organizzare anche gare locali di atletica, ciclismo, tennis, calcio, scherma, pallacanestro.
L’iniziativa prese subito piede e venne approvata dal ministro della Pubblica Istruzione, che impartiva disposizioni al riguardo ai Provveditorati agli Studi.
L’anno successivo l’iniziativa fu promossa su tutto il territorio nazionale e nacquero i Campionati Studenteschi.
Nel 1946 il programma fu notevolmente potenziato. Sport obbligatori divennero atletica, calcio, ciclismo, ginnastica, pallacanestro; come sport facoltativi furono scelti pattinaggio, pallavolo, rugby, tennis e scherma. Invariati rimasero il limite minimo di età dei partecipanti (dai 13 ai 14 anni, secondo gli sport) e la scelta di programmi tecnici impostati in modo da rispettare la giovane età degli iscritti.
All’inizio i Campionati Studenteschi ebbero carattere esclusivamente locale e si esaurirono con le finali provinciali (il calcio terminava a livello locale); più tardi, nel 1950, il programma dei Campionati Studenteschi cominciò a comprendere le finali nazionali, aperte a selezioni provinciali. Nel frattempo avevano preso il via i Campionati Studenteschi di sport invernali.
I Campionati Studenteschi, che ad un certo punto cambiarono il nome in “Criterium Studenteschi”, ebbero vita quasi ventennale. Anche quando, con il trascorrere degli anni, il programma tecnico dei Campionati Studenteschi divenne più complesso, con un numero maggiore di sport e di fasi, l’intera macchina organizzativa continuò ad essere gestita dal Centro Sportivo Italiano attraverso i suoi Comitati provinciali. Da ricordare anche che nel 1949 i Campionati nazionali studenteschi furono organizzati insieme dal CSI e dalla FARI; mentre nel 1962 la FARI organizzò i Criterium Studenteschi femminili.
Le celebrazioni per il ventennio del Centro Sportivo Italiano
Oltre ad avere dedicato il tema dell’VIII Congresso nazionale 1965 “Vent’anni di sport per una società nuova”, la presidenza nazionale CSI ha voluto ricordare i venti anni dalla sua (ri)fondazione, con una particolare cerimonia che ha avuto luogo il 19 novembre 1965 a Roma, nell’Auditorium Pio XII in via della Conciliazione, alla presenza di autorità religiose, civili, sportive e di una rappresentanza di “azzurri” ex atleti del CSI.
La sorpresa più gradita dell’incontro è stata senza dubbio la presenza del Presidente del Consiglio, Aldo Moro, tanto più significativa in quanto egli era corso alla cerimonia del CSI subito dopo un impegnativo discorso al Senato. Erano presenti, inoltre: il cardinale Dante, ex sportivo praticante; i ministri Andreotti e Colombo; il presidente del CONI Onesti: l’assistente generale dell’Azione Cattolica Italiana, mons. Costa.
Alle parole commemorative del presidente nazionale CSI, Aldo Notario, hanno fatto eco: l’avv. Onesti che ha messo in risalto il grande contributo dei cattolici e del CSI per la diffusione della pratica sportiva, delle strutture, della coscienza e della politica dello sport italiano; mons. Costa che ha accennato ad alcuni aspetti dell’azione pastorale del CSI, anticipatori delle direttive della Chiesa del Concilio; il ministro Andreotti che, a nome anche dell’on. Moro, ha porto al CSI i complimenti del Governo per l’azione svolta a favore della gioventù italiana.
Motivo di particolare gradimento è stata la presenza degli “Azzurri” CSI invitati: il calciatore Paolo Barison, il cestista Gianfranco Bertini, il pattinatore Giuseppe Cantarella, il tennista Gaetano Di Maso, il ciclista Felice Gimondi, il pallavolista Alessandro Grassellini, il nuotatore Fabrizio Nardini, lo sciatore Franco Nones, l’atleta Alfredo Rizzo, ai quali è stata offerta una medaglia ricordo.
Il trentennio del Centro Sportivo Italiano
Nel 1975 ricorreva il trentesimo anniversario della nascita del CSI e della FARI. Dal momento che la ricorrenza cadeva nell’anno di celebrazione dell’Anno Santo e nel periodo di preparazione al Congresso nazionale, il Consiglio nazionale del CSI ritenne opportuno di collegare i tre fatti in un’unica celebrazione nei giorni 8-9 novembre, in modo da inserire nel tessuto della vita associativa la celebrazione dell’Anno Santo, il ricordo del trentennio e nello stesso tempo di arricchire la preparazione congressuale con una riflessione storica e con la partecipazione comunitaria alle iniziative religiose dell’Anno Santo.
Questo tipo di riflessione mise in evidenza il permanere e il perdurare di una ispirazione cristiana che ha costituito la matrice dell’associazione e che è andata sempre più qualificandosi come servizio specifico di promozione umana.
La celebrazione trentennale ebbe il suo culmine nel Symposium “L’esperienza di ieri per uno sport nuovo in una società che cambia”. All’intervento ufficiale del presidente nazionale del CSI, fecero seguito diversi apprezzati discorsi e messaggi di saluto da parte delle numerose autorità religiose e civili intervenute.
Nello spazio delle due giornate, oltre alle iniziative sportive per il trentennio, i partecipanti vissero anche un momento religioso celebrando l’Anno Santo con il pellegrinaggio alla Basilica di San Pietro, dopo aver sfilato in corteo per via della Conciliazione. Alcune migliaia erano i partecipanti, giunti a Roma da ogni parte d’Italia, ai quali si erano aggiunti molti atleti e dirigenti del CONI e delle Federazioni nazionali.
A conclusione della celebrazione, vi fu l’incontro con il Papa, improntato alla più grande cordialità e simpatia, quali Paolo VI ha del resto sempre riservato agli sportivi e al CSI in particolare.
Stadium: lo sport incontra la piazza
Con l’iniziativa lanciata nel 1997, il Centro Sportivo Italiano si proponeva un modo nuovo di coniugare lo sport, in forma polisportiva, con i contenuti, gli ideali, i problemi e le prospettive che ruotano attorno al fatto sportivo. Lo sport esce dallo stadio per entrare nella piazza e la piazza diventa stadio; il luogo deputato da sempre al confronto sociale, culturale, politico e commerciale, accoglie anche l’attività sportiva che da pratica elitaria e specialistica, negli ultimi decenni è esplosa come vero fenomeno di massa, aperto al godimento di tutti.
Con lo slogan “Stadium: lo sport incontra la piazza”, si è voluto dare un significato all’intreccio simbolico dei due termini “stadio” e “piazza”, intesa quest’ultima come punto d’incontro della gente. Proprio in questo incontro dello sport con la piazza si concretizzava ed assumeva significato l’espressione “sport per tutti”. Una proposta quindi che si integrava perfettamente con l’originale modello di “feste dello sport” che da oltre quindici anni costituiva un vero e proprio laboratorio di ricerca per l’affermazione di una concezione dello sport che non fosse basata esclusivamente sugli aspetti tecnici ed agonistici.
Il progetto si articolava in due fasi: la prima itinerante, nelle piazze d’Italia; la seconda, a carattere nazionale, oltre a costituire il momento conclusivo, intendeva proporsi anche come un appuntamento di grande rilevanza culturale attraverso seminari di studio e convegni.
Nel periodo estivo, sotto il nome di “Beach Volley Cup”, l’iniziativa veniva estesa anche alle spiagge dell’Adriatico e del Tirreno.
Con la sua formula itinerante, articolata, flessibile, è stato un esempio concreto e tangibile per tutti gli operatori di come fosse possibile “rimodulare” l’attività, andando incontro alle esigenze dei giovani nei luoghi che essi prediligono, “scendendo” nelle strade e nelle piazze con proposte sportive e culturali coinvolgenti e alternative.
Il CSI e il Giubileo degli sportivi nel 2000
Quale premessa al Giubileo del 2000, nel dicembre 1999 il CSI ha organizzato un avvenimento un po’ speciale: la Maratona “Correre sulle orme di San Paolo” dal 12 al 31 dicembre 1999.
La spedizione sportiva, partendo da Gerusalemme, ha ripercorso l’itinerario compiuto dall’apostolo Paolo nella sua missione di evangelizzazione, sino a raggiungere Roma, luogo del suo martirio, con una distanza di 1.100 chilometri in 20 tappe. Vi hanno preso parte atleti cristiani, ebrei, musulmani, che hanno portato una simbolica fiaccola della pace, accesa a Gerusalemme, sino a Piazza San Pietro in Roma nella notte del 31 dicembre, dove erano ad attenderla migliaia di giovani.
Nell’anno 2000, poi, il CSI ha celebrato il Giubileo degli sportivi con decine di manifestazioni locali e con una grande iniziativa nazionale a Roma, dal pomeriggio del 23 ottobre alla notte del 28 ottobre.
Una settimana di sport e cultura denominata “In campo per il Giubileo”, in un “Villaggio dello sport” appositamente attrezzato nei giardini di Castel Sant’Angelo.
L’evento era finalizzato alla promozione presso la popolazione, in particolare quella giovanile, del valore di un’attività sportiva vissuta in forma libera e gioiosa e nello stesso tempo a sensibilizzare i partecipanti ai valori etici che potevano derivare da una pratica dello sport correttamente intesa.
Oltre alla parte sportiva, la settimana al “Villaggio dello sport” è stata ricca di avvenimenti culturali attraverso i convegni: “Sport for Africa”, “Vivere da campione”, “Dai campi di periferia ad Atene: una politica per lo sport giovanile”, “Sport a scuola: sospeso con obbligo di frequenza”, “ww.sportfuture.com. I media e lo sport di base”, “Mister parroco: educare i giovani negli oratori”.
Dall’Italia che fa sporto allo sport che fa l’Italia
Chi si aspettava toni accesi e polemiche roventi è rimasto deluso. La Conferenza nazionale sul ruolo sociale dello sport che il Centro Sportivo Italiano ha organizzato a Roma l’11 maggio 2002, con il tema “Dall’Italia che fa sport allo sport che fa l’Italia”, è scivolata via in un’atmosfera soft, ma non per questo ha tralasciato di fornire le indicazioni che ci si attendevano.
Intorno al tavolo dei relatori c’erano, oltre al presidente del CSI Edio Costantini, il sottosegretario con delega allo sport Mario Pescante, il segretario generale della CEI mons. Giuseppe Betori, il presidente del CONI Gianni Petrucci, il coordinatore degli assessori regionali allo sport Luca Cipriani, il consigliere delegato allo sport del Comune di Roma Gianni Rivera, il rappresentante dei rettori delle università italiane Luciano Russi e il moderatore Fabio Pizzul.
Nel suo intervento di apertura il presidente del CSI si è soffermato sulla crisi del sistema sportivo italiano e sulla necessità della promozione dello sport sociale da parte dell’ordinamento legislativo e sportivo.
I tre pilastri su cui fondare una politica dello sport sociale dovevano essere: riconoscimento della funzione formativa dello sport, centralità della società sportiva, sostegno al volontariato sportivo. Riflettori puntati subito dopo sugli interventi di Pescante e Petrucci, dai quali era lecito attendersi lumi sul futuro dell’associazionismo sportivo di base e soprattutto un chiarimento su cosa dovessero attendersi gli Enti di promozione sportiva quali maggiori soggetti dello sport sociale.
Pescante ha presentato la sua proposta di legge sulle società sportive dilettantistiche e per quanto riguarda chi e come dovesse promuovere lo sport sociale ha affermato che lo sport doveva cercare un chiarimento al proprio interno sui ruoli di ciascuno; una volta risolti i problemi di soprovvicvenza del CONI, si sarebbero risolti anche i nodi relativi agli Enti di promozione e allo sport per tutti.
Nel suo intervento, Gianni Petrucci si è soffermato sulla difesa dell’attuale modello sportivo italiano, imperniato sul CONI, ritenendo che non serva un Ministero dello sport ma dal Parlamento atti concreti di aiuto al mondo dello sport; anche se questo può cnsiderarsi un’utopia, considerando come il Parlamento fosse solito perdersi in lungaggini. Petrucci ritiene comunque opportuno che rappresentanti degli Enti di promozione siano presenti nella Giunta esecutiva e nel Consiglio nazionale del CONI.
Di tutt’altro genere, ovviamente, l’intervento di mons. Betori, che ha confermato la grande attenzione con cui la Chiesa in Italia segua i cambiamenti dello sport, chiedendo che in tali cambiamenti sia salvaguardata la funzione umanizzante della pratica sportiva.
Delle difficoltà di legiferare sullo sport ha poi parlato Gianni Rivera, quale ex parlamentare, mentre il coordinatore degli assessori allo sport ribadiva ancora una volta che le Regioni rivendicavano il ruolo di principali ed autonomi soggetti istituzionali nella promozione dello sport sul territorio, al di fuori di qualsiasi tutela del CONI e dello Stato.
Maratona della pace Roma – Lourdes
“I nostri sogni corrono con noi”. Questo il messaggio della maratona internazionale Roma-Lourdes, organizzata a metà maggio 2003 dal Centro Sportivo Italiano in collaborazione con l’Ordinariato Militare in Italia.
La fiaccola, accesa in San Pietro dopo l’udienza del Santo Padre, ha raggiunto la Basilica di Santa Bernadette a Lourdes la sera del 18 maggio, dove ad attenderla c’era il contingente italiano del 45° Pellegrinaggio Militare Internazionale (al quale avevano partecipato rappresentative di 37 nazioni).
Alla corsa si sono uniti anche atleti disabili, che così hanno dato la loro testimonianza nell’anno europeo del disabile.
I chilometri totali percorsi sono stati 1.604 (724 in Italia, 880 in Francia), con 12 tappe in dodici giorni, per un totale di centodieci ore di fatica e sacrificio.
Nelle principali tappe la maratona ha ricevuto grandi accoglienze, con incontri e confronti con associazioni laiche e religiose.
La fiaccolata ha legato simbolicamente il suo nome all’idea di pace nel mondo, un’idea da accendere” con amore e speranza.
La maratona-pellegrinaggio si inseriva nella sequenza dei grandi simboli di Lourdes. Dopo l’acqua della sorgente, ecco i pellegrini stessi nella molteplicità dei loro luoghi di provenienza. Per il 2003, inoltre, il tema pastorale di Lourdes era dedicato all’incontro fra le genti.
“Lo sport va oltre la medaglia, la vittoria e la sconfitta, è un mezzo di unione e aggregazione di persone anche le più diverse” aveva detto il presidente nazionale del Centro Sportivo Italiano nel corso della conferenza di presentazione dell’iniziativa; quindi uno strumento di pace simboleggiato dalla fiaccola che i militari-atleti hanno portato attraverso l’Italia e parte della Francia.